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Taj Mahal, monumento all'amore


Viaggio in India del Nord. Triangolo d'oro.

Il capolavoro Moghul emblema d'amore. Questa è la storia del Taj Mahal.

Ci sono luoghi al mondo così famosi che diventano familiari, un po’ come la Tour Eiffel, il Colosseo o il ponte di Londra. Il Taj Mahal fu per me uno di questi ma mi lasciò senza fiato. Tagore, il grande filosofo indiano, lo definì “una lacrima di marmo sulla guancia del tempo”. Ma quando oltrepassi la Darwaza, la porta trionfale di accesso all’area in cui esso si trova, il Taj Mahal non scivola via come un goccia, è lì, ben saldo e imponente dal tempo in cui Shah Jahan, il grande imperatore di quella dinastia moghul che entrò in India nel 1526, lo volle in memoria della seconda moglie, principessa persiana da lui fortemente amata, Mumtaz Mahal, che morì per dare alla luce il suo quattordicesimo erede. Ci vollero più di vent’anni, dal 1632, 12 mila tonnellate di marmo bianco proveniente dal Makrana, vicino a Jodhpur, pietre preziose, 20.000 operai e i progettisti migliori del tempo a rendere immortale questa meraviglia che neppure è chiamata tomba dato che il suo nome vuol dire “Corona del Palazzo”.


L’arte moghul esplode in tutta la sua bellezza. Ispirati, tra gli altri, alla tomba di Humayun di Delhi e a quella di Akbar a Sikandra, gli architetti di Shah Jahan, indiani, turchi, persiani, italiani e francesi, non risparmiarono la loro inventiva e le loro capacità per realizzare questo capolavoro a pianta ottagonale sovrastata da una cupola di altrettanta altezza (35 metri) e costruito su una piattaforma, come su un vassoio che ne serve tutta la bellezza. Il bianco splendente del Taj Mahal contrasta con il color fango delle acque della Yamuna sulle cui sponde è abilmente costruito e con il rosso dell’arenaria che compone le due strutture laterali, l’una moschea, l’altra, creata a fini simmetrici, destinata al ricovero degli ospiti ed entrambe poste lì ad incorniciare la grande tomba. Shah Jahan voleva che quell’opera fosse eterna e che i quattro minareti, alti 41 metri, sormontati da cupole in stile indo-moghul, (tipici più di una moschea che di un mausoleo) leggermente svasati verso l’esterno, posti ad ogni angolo della piattaforma, cadessero, in caso di terremoto, verso l’esterno, risparmiando così la costruzione.


Non vi è dubbio che una maestosità del genere sia dovuta, oltreché all’arte del genio, anche a complicati calcoli matematici diretti a rendere particolarmente elegante una composizione così imponente. Se ne ha contezza passeggiando tra il grande giardino suddiviso in quattro parti, disegnato come quelli descritti nel Corano (charbagh) in fondo al quale (e non al centro come avveniva usualmente) è posto il Taj Mahal. E quando, tra canali in cui scorre l’acqua, fontane, aiuole ed ammiratori del Taj, giungi finalmente al suo cospetto, credi finalmente che qui nulla si è lasciato al caso; persino i versi del corano sono incisi in scala di modo che ciò che naturalmente dovrebbe sembrare più piccolo, perché più in alto, appaia invece della stessa dimensione di ciò che è di fronte ai tuoi occhi. Finissimi bassorilievi e arabeschi floreali, mosaici scolpiti nel marmo inciso con pietre multicolori, dure, preziose e semipreziose, provenienti da Tibet, Cina, Birmania, Ceylon, Punjab, Persia stimolano il mio stupore.


Nel 1652 il Taj Mahal fu terminato. Non era più tempo per Shah Jahan, ormai anziano, che il figlio Aurangzeb costrinse alla prigionia nel Forte Rosso da cui egli avrebbe continuato ad ammirare il suo capolavoro d’amore, fino alla sua morte nel 1666. Con Aurangzeb anche Agra smise di fiorire, prima che diventasse Delhi la nuova capitale.


Nell’interno, sotto la cupola centrale, le tombe di Shah Jahan e di Mumtaz Mahal le cui spoglie giacciono in realtà nelle fondamenta del mausoleo. C’è un silenzio rispettoso, neppure un fiato, in un’atmosfera quasi surreale così antica e così moderna, con la luce fioca che entra dalle grate marmoree che proteggono un grande amore in ogni ora del giorno che regala al Taj Mahal un particolare effetto cromatico.


Come arrivare ad Agra:


l'aeroporto internazionale più vicino è quello di Delhi (210 Kms e circa 3 ore) inoltre è ben collegata con treni o bus.


testo by PassoinIndia Tours

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